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Luca GibelloWritten by: Inchieste

Il rilancio di Mirafiori passa ancora dall’auto?

Pare quasi un’ironia che, mentre la Fiat sta pensando di trasferire i vertici aziendali negli Stati Uniti, veda la luce proprio a Mirafiori il primo tassello della futura «Cittadella politecnica della mobilità». A marzo si sono infatti conclusi i lavori per il Centro del design e, contestualmente, è stato siglato un Accordo di programma che prevede di convertire il resto della «Zona A» (140.000 mq) in una sorta di campus che unisca didattica, ricerca e produzione. Il documento fa seguito a un precedente Accordo di programma firmato nel 2007 dai medesimi soggetti: Regione, Provincia, Comune, Politecnico e da Torino nuova economia (Tne). Quest’ultima, una Spa mista a prevalente capitale pubblico (partecipata, per mezzo di loro controllate, per il 40% da Regione e Comune e, direttamente, per il 10% da Provincia e Fiat), dal 2005 ha acquisito da Fiat la proprietà del comparto di­smesso (circa 300.000 mq, divisi in tre ambiti) della storica fabbrica che occupa una superficie di circa 3 milioni di metri quadri. L’intervento appena concluso riguarda un lotto di circa 23.000 mq tra i corsi Orbassano e Settembrini. Attuato in variante al Prg, è costato circa 18 milioni, di cui 4 di provenienza comunitaria e il resto finanziati con un mutuo da Bnl Paribas. Nel gennaio 2008 i lavori sono stati appaltati da Tne con gara europea (sulla base di un esecutivo redatto dal Servizio edilizia del Politecnico di Torino), aggiudicandoli nell’agosto con l’offerta economicamente più vantaggiosa all’Ati composta da Zoppoli & Pulcher Spa (mandataria), Sepam srl e Speirani Spa.
Il progetto Il preliminare e definitivo è dello studio Isolarchitetti (strutture di Icis e Simete, impianti di Mcm), direttamente incaricato. Il progetto delinea il rapporto tra preesistenza e opere ex novo grazie a un rigoroso impianto che vale come layout per il recupero dell’intero comparto. I vecchi capannoni vengono svuotati conservandone la struttura portante metallica a telaio e parte delle coperture. Al di sotto, vengono «ospitati» tre volumi scatolari indipendenti su due livelli, identici nelle dimensioni (e nei sistemi tecnologici di facciata costituita da una doppia pelle vetrata a tutt’altezza) ma diversi nei rivestimenti (rispettivamente in lastre di acciaio lucido, satinato e opaco, in doghe di legno di Iroko naturale e in lastre di gres fine porcellanato di grande formato). La distribuzione è assicurata da due passerelle in tubolari di acciaio e tettoie in policarbonato che collegano i vari volumi che dovrebbero susseguirsi sotto le grandi coperture (il progetto ne prevedeva altri tre, per ora rimasti sulla carta), scavalcando campate lasciate scoperte e trattate a giardino e spazio di relazione. Nei nuovi volumi si alternano 23 tra aule, laboratori e sale studio per un totale di 1.300 posti, ma senza uffici dipartimentali.Funzioni e scenari
Se l’intervento attira giudizi discordi per il decorativismo delle superfici e per la discrasia tra l’«eccesso di disegno» nei dettagli, in particolare le passerelle, e la «potenza evocativa» dell’insieme, l’incognita è in realtà quella degli usi futuri in base alle funzioni da insediare nel comparto. Ci si trova all’estremo margine ovest del recinto industriale, assai decentrato e pressochè privo di servizi pubblici (dai trasporti a quelli di base). Per ora, l’inizio della «ricolonizzazione» atterra in una no man’s land e occorrerà capire, tra Comune e Politecnico, chi farà il primo passo per mantener fede ai patti, sebbene a settembre sia previsto il trasferimento degli studenti del corso di laurea in Disegno industriale dalla sede dell’ex Alenia in corso Marche. Inoltre, l’Accordo del marzo scorso prevede, accanto alla riconversione virtuosa legata ai centri di ricerca, agli incubatori d’impresa e alle attività varie di servizio, anche una quota di attività commerciali che potrebbe attirare la grande distribuzione.
Il tema riguarda anche il destino di un altro simbolo della storia del Novecento, non solo torinese: il Palazzo del Lavoro costruito per le celebrazioni di Italia ’61 che, dopo la cessione dal demanio alla società Pentagramma Piemonte (composta da Fintecna e dall’operatore immobiliare locale Gefim) nel 2008, ha visto proprio alla vigilia dei festeggiamenti per il 150° dell’Unità la presentazione del progetto di trasformazione in grande shopping mall da parte del developer olandese Corio, specialista del settore, che il 23 dicembre scorso ha firmato un accordo per la gestione a fine lavori. Il progetto esecutivo (in attesa di approvazione da parte della Giunta comunale) è stato redatto in accordo con la Soprintendenza, la quale tuttavia ora sta avviando la procedura di apposizione di vincolo, avendo l’edificio compiuto i 50 anni. Tuttavia, sull’iniziativa pende un ricorso al Tar contro la variazione di destinazione d’uso stabilita dal Comune nel settembre 2009, intentato dagli operatori commerciali della vicina «8 Gallery» del Lingotto, preoccupati per la concentrazione di attività simili nella zona. La memoria industriale Non senza difficoltà Torino sta gestendone le eredità materiali. D’altronde, i grandi numeri implicano dolorose ma necessarie operazioni di conservazione selettiva (non sempre attuate o felici nel caso di certe aree lungo la Spina centrale), che giocoforza danno migliori esiti alla piccola scala (spazio commerciale Eataly nell’ex Carpano e Cineporto della Film Commission Torino Piemonte nell’ex lanificio Colongo per non fare che due esempi). Per Mirafiori l’auspicio è che si possano portare avanti programmi in grado di vivificare la vocazione dell’area come fucina di saperi: cosicchè, un domani, il prefisso all’appellativo del comparto sia non «ex», bensì «già Fiat».

Autore

  • Luca Gibello

    Nato a Biella (1970), nel 1996 si laurea presso il Politecnico di Torino, dove nel 2001 consegue il dottorato di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica. Ha svolto attività di ricerca sui temi della trasformazione delle aree industriali dismesse in Italia. Presso il Politecnico di Torino e l'Università di Trento ha tenuto corsi di Storia dell’architettura contemporanea e di Storia della critica e della letteratura architettonica. Collabora a “Il Giornale dell’Architettura” dalla sua fondazione nel 2002; dal 2004 ne è caporedattore e dal 2015 al 2024 è direttore. Oltre a saggi critici e storici, ha pubblicato libri e ha seguito il coordinamento scientifico-redazionale del "Dizionario dell’architettura del XX secolo" per l'Istituto dell’Enciclopedia Italiana (2003). Con "Cantieri d'alta quota. Breve storia della costruzione dei rifugi sulle Alpi" (2011, tradotto in francese e tedesco a cura del Club Alpino Svizzero nel 2014), primo studio sistematico sul tema, unisce l'interesse per la storia dell'architettura con la passione da sempre coltivata verso l’alpinismo (ha salito tutte le 82 vette delle Alpi sopra i 4000 metri). Nel 2012 ha fondato e da allora presiede l'associazione culturale Cantieri d'alta quota

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Last modified: 10 Luglio 2015